Il maestro Marino Scalabroni ci ha lasciato. Quattro anni fa ebbi la fortuna e l'onore di poterlo intervistare per la rivista "LO SPECCHIO". Oggi, nel giorno del suo funerale, pubblico su questo blog quella mia intervista. Lo faccio per i più giovani. Lo faccio perchè la storia siamo noi, come recita una famosa canzone di De Gregori.
E Marino Scalabroni è la storia di questo paese.
Ciao Marino.
LO SPECCHIO - MAGGIO 2011
di Emilio Pierini
Marino Scalabroni ci riceve nel suo salotto, tra i suoi libri. Troviamo una persona di straordinaria lucidità e memoria. Un giovanotto di 86 anni con il quale dialogare è estremamente piacevole. Pensiamo dunque che nessuno meglio di lui, possa narrare il nostro paese dal punto di vista sociale e storico. Il tono del nostro incontro è molto amichevole e ci troviamo subito a nostro agio. I presupposti sono ideali per fare un'intervista piena di curisosità e garbo.
Maestro Marino, quanti anni della sua vita ha dedicato all'insegnamento?
Ho iniziato ad insegnare alle scuole elementari nel lontanissimo 1951. Erano gli anni del post guerra e mi venne affidata una sezione nel distaccamento scolastico del quartiere Scossicci. Ero un giovane maestro di 26 anni. Ho esercitato questo straordinario mestiere per i successivi 37 anni. Non è un mestiere come un altro. Serve passione, senso di responsabilità massimo. L'educare è arte nobile. Ed educare futuri cittadini responsabili è una meravigliosa sfida. Il maestro lo devi sentire dentro. Come il sacerdozio. Lo puoi fare solo se ne hai la vocazione. E non finisce mai, neanche dopo la cosiddetta pensione. Lo sei dentro.
Come era con i suoi studenti? Il classico maestro tutto d'un pezzo rigido e severo?
Assolutamente no. Ho sempre privilegiato il dialogo ed il dibattito. Sono stato sempre aperto verso i miei ragazzi. Mai repressivo e punitivo. Sono orgoglioso che questo mi sia stato poi sempre riconosciuto. Nelle mie classi regnava la serenità. Era proibito alzare la voce. Del resto vengo da una tradizione salesiana. E non potevo usare metodi che non fanno parte della mia maniera di vedere la vita ed i rapporti interpersonali.
Un maestro amico insomma..
Amico, con la porta sempre aperta e responsabile. Pensa che una volta ero malato e il medico mi aveva dato 15 giorni di riposo e cure. Ma io dopo una settimana stavo meglio. Chiesi al mio preside di poter rientrare. Salvaguardando i diritti economici e lavorativi della supplente che era stata messa al mo posto, ovviamente.
Si può dire che ha contribuito a formare la classe dirigente di questo paese?
Ho formato delle coscenze, degli interessi. Vorrei fare decine di nomi di miei alunni che sono diventati medici, professori e, perchè no, anche esperti di paranormale. Citarli a discapito degli altri sarebbe una discriminazione che il mio amore di maestro ed educatore non mi permette. Ho i miei "scolari" che ancora sentono il bisogno di venirmi a trovare per farsi una chiacchierata con me raccontando i tempi che furono. Vivere con i miei alunni è stata un'esperienza coronata da grandissime soddisfazioni, quasi un godimento spirituale. Ed è più quello che io ho ricevuto da loro che non quello che io ho dato. A volte essere un dirigente non significa essere un uomo. Io ho provato a formare uomini. Che poi sono siano diventati operatori ecologici o professori di università questo è di secondaria importanza.
Maestro, come mai non è diventato direttore didattico, per avendone i requisiti?
C'è stato un periodo in cui una norma permetteva agli insegnanti che avevano superato i dieci anni di attività con un lodevole giudizio, di concorrere alla nomina di direttore didattico. Il collega Mario Palmieri approfittò di questo e divenne direttore didattico nella provincia di Ancona. Quando il Direttore Masambruni mi chiese se avessi voluto fare la medesima carriera, io gli risposi che preferivo stare con i ragazzi che combattere con i maestri!
Cosa ne pensa di tutte le riforme che, nel tempo, la nostra scuola primaria ha subito dal punto di vista legislativo?
Penso che per quanto riguarda il mio mondo, quello della scuola elementare o primaria che dir si voglia, la soppressione del maestro unico sia stata una cosa negativa. Il maestro unico era punto di riferimento per lo studente. Ora c'è un mix di competenze e metodi nell'insegnare, con il doppio maestro, che penso possa confondere l'alunno. Se tra i due maestri non c'è coralità di vedute sul come esprimere l'azione del docente questo può rivelarsi deleterio per lo scolaro.
Come vede i ragazzi di oggi? Voglio dire, il passare dai giochi di strada alla playstation come li ha cambiati secondo lei?
Sono diventati più birichini. Più vispi. Più svegli, almeno per quello che riguarda il superamento dei limiti di quello che li circonda: noi avevamo, da bambini, il limite dato dal nostro giardino, dalla nostra piazza, dai vicoli del nostro paese. I loro limiti, oggi, sono quelli del mondo. Io credo che tutte le sollecitazioni visive, tutte le informazioni a cui hanno accesso, li renda più maturi e partecipi delle generazioni passate, che sentano il mondo come un unico paese.
Oltre a docente lei è stato anche uno studioso della nostra cittadina e del suo dialetto. A suo modo di vedere, Porto Recanati è cambiata in meglio o in peggio negli anni?
Il nucleo storico non lo vedo molto diverso. I paesi di mare hanno questa peculiarità di rimanere sostanzialmente invariati. Di mantenere nel tempo il loro aspetto. La mia paura è che il verde sia lasciato ai margini. Dio solo sa quanto sia importante per la crescita di un bambino; per lo sviluppo di un ragazzo contemplare uno sviluppo armonico del paese controbilanciando spazi abitativi con spazi ricreativi, immersi nella natura, tra prati e alberi.
Maestro Marino, in questo momento di fervente crescita di comitati cittadini impegnati in battaglie sociali, le citiamo la vicenda del Rigassificatore del Conero. Può raccontarci la sua esperienza di impegno sociale riguardo la battaglia contro la Centrale Termoelettrica di Potenza Picena avvenuta durante gli anni 70?
Noi abbiamo avuto un'esperienza molto simile a quella che citavi tu del Rigassificatore, proprio negli anni 70. I e il pediatra Alessandro Galeazzi, di Recanati, aiutati da un famoso giornalista del Corriere della Sera, che venne a sostenere la nostra battaglia, ci opponemmo, vincendo, alla costruzione di una centrale termoelettrica nella zona di Potenza Picena. Eravamo un pugno di uomini contro la costruzione di questa struttura, già approvata dal Consiglio Comunale di Potenza Picena, che aveva già dato il via libera all'impianto. Arrivammo a minacciare di portare gli alunni delle scolaresche di Recanati e di Porto Recanati a fare un sit-in nel luogo previsto per l'impianto per impedirne i lavori. Ripensandoci, che cosa sarebbe successo alla nostra valle del Potenza e dello sviluppo turistico di Porto Recanati e Potenza Picena se avessero fatto quel mostro? Quella volta non avevamo le risorse tecnico informatiche, non avevamo accesso alle informazioni, come è possibile oggi, come oggi fanno i comitati. Ci siamo fidati del nostro cuore, della nostra cultura e della nostra visione del futuro.
Ci parla del suo impegno politico?
Voglio sottolineare l'aspetto europeistico del mio impegno politico. Nel 1946, io e dei miei amici, fummo i primi ad iniziare una battaglia per l'unione europea, non nel senso politico-nazionale, ma per la sensibilizzazione locale dell'importanza dell'Europa. A Porto Recanati avevamo una sede di europeisti di 300 persone di vari partiti politici, persone che sentivano il superamento delle barriere nazionali. Sono stato un fervido sostenitore del Movimento Federalista Europeo, che prevedeva, nel suo statuto, l'unità degli stati europei. L'europa come unica entità. Era il periodo post bellico. Un periodo significativo. Una Europa Stato avrebbe evitato il ripetersi di eventi tragici come quelli di qualche anno prima, delle due guerre mondiali. Siamo stati sicuramente gli antesignani di quella che sarebbe diventata l'U.E.
Lei ha tuttora la bandiera di quel periodo, di quel movimento.
Sissignore, ho ancora quella bandiera fatta dalle nostre ragazze, dalle nostre amiche, che era costituita da una grande "E" verde in campo bianco e che ha sventolato il 25 Marzo del 57 sui balconi delle nostre case. Qui a Porto Recanati questo movimento non era ben visto dal Partito Comunista. E questo in quegli anni scatenò delle battaglie piuttosto vivaci. Vista la fase in cui versa ora la politica, quasi senza afflati e ideali, direi che quelli sono stati davvero "bei tempi" per tutti gli amanti della politica, nessuno escluso. Storicamente sono stato un democristiano. Ho avuto anche incarichi pubblici nella giunta comunale, guidata all'epoca dal Sindaco Moroni. Uno dei ricordi più belli, politicamente parlando, è stato il complimento di un comunista che, rivolgendosi a me, mi disse "Uno come te doveva stare con noi" e, detto da un comunista ad un democristiano, in quel periodo storico lì, l'ho ritenuto la più grande lode che mi potessero fare. Malgrado io sia stato un democristiano, quando ho potuto, ho fatto raccomandazioni per tutti. Tutti. Senza pensare neanche un attimo al colore politico della persona che si rivolgeva a me per un aiuto. Ecco perchè forse ero inadatto all'agone della politica: in politica bisogna avere, come diremmo a Porto Recanati, "el core col pelo"..
Ritornando alla nostra Porto Recanati, come vede questa trasformazione della società che stiamo vivendo? Un abitante su quattro nella nostra cittadina è extracomunitario.
Ci stiamo dirigendo verso un interculturalismo che non amo particolarmente. Forse stiamo perdendo la nostra identità. Guardo l'Hotel House e penso che quella struttura sia disumana ed inconcepibile. Messi in salvo gli abitanti proporrei di abbatterlo immediatamente per studiare altre soluzioni abitative. Conoscevo personalmente il costruttore dell'Hotel House, l'Ing. Sperimenti. Era una brava persona. Mai avrebbe pensato che il suo palazzo, ideato e costruito per ospitare meglio il turismo portorecanatese, avesse fatto una fine così ingloriosa. E lo dico con il pieno rispetto di tutte le famiglie di gente onesta che lì vi abita.
Si troverebbe in difficoltà ad insegnare oggi in queste classi dove la presenza dei bambini stranieri è forte?
Assolutamente no. Non avrei nessun problema. Sarebbe bellissimo sentire un bambino senegalese parlare in portorecanatese. Essere un portorecanatese è un'indole, è una espressione del carattere di un popolo è un modo di vedere la vita, il mare, l'amore per la tradizione. E questo non dipende dalla pelle con cui si nasce, ma dall'animo che ci si forma.
Lei è stato il creatore e direttore del primo giornale portorecanatese "LA TARTANA". Ce ne vuol parlare?
Fu fatto un giornale intorno agli anni 20 ed ebbe breve durata. La Tartana invece durò tra anni e mezzo con una cadenza mensile e qualche volta bimestrale. Posso definire "LA TARTANA" una mia creatura. Io ne fui il direttore responsabile ma avevo con me vari e valenti collaboratori, tra cui Renzo Ballerini. Era un giornale aperto. Il giornale veniva distribuito addirittura all'estero, con copie che arrivavano in Inghilterra e in America, dovunque ci sia stato un portorecanatese. Begli anni. I nostri immigrati ce lo richiedevano: raccontavamo Porto Recanati con infinita passione, a 360 gradi, come direbbero oggi. Distribuivamo spazi di democrazia, informazione, notizie. Erano anni di straordinario fermento culturale che noi abbiamo cavalcato. Anni che poi ci portarono alla rivoluzione industriale ed al netto miglioramento delle condizioni economiche di questa nostra Italia (Mentre descrive questo momento si alza e ci consegna una copia rilegata di tutti i numeri del periodico usciti nel tempo).
Sappiamo che il giornalismo per lei è stato come una seconda professione.
Si, è vero. Più che una seconda professione è stata una passione incredibile. Ho scritto per il TEMPO, IL CORRIERE ADRIATICO, MOMENTO SERA, e il RESTO DEL CARLINO. Ho raccontato Porto Recanati per moltissimi anni. La cronaca, la politica, gli eventi e le attività del cantiere Gardano e Giampieri. Ho descritto la trasformazione di una società che passava da una struttura sociale marinara e di sussistenza ad una realtà turistico-imprenditoriale nel settore del turismo.
Ma la sua attività e di suoi interessi, diciamo, extrascolastici, non si sono fermati qui..
Sono stato un grande collaboratore di Don Lamberto Pigini, ora a capo di una importantissima holding, la Pigini Group. Io l'ho aiutato specialmente agli esordi delle sue attività. Ricordo l'inizio della Tecnostampa, che partì con una piccola macchia ciclostile, nell'ingresso di un palazzo nobiliare di Recanati, per poi divenire la Tecnostampa attuale, leader a livello italiano nel settore, con rotative che fanno invidia ai grandi quotidiani nazionali.
C'è una curiosità che la lega al nome Tecnostampa, ce la vuol dire?
E' frutto del sottoscritto il nome di due attività di Don Lamberto Pigini, l'Euroschool e proprio la Tecnostampa. L'Euroschool era volta all'insegnamento della lingua inglese ai bambini di cui sono stato direttore per alcuni anni e che aveva sezioni in molti comuni. Da lì iniziammo a produrre un giornalino in inglese propedeutico per l'apprendimento della lingua. Parliamo degli anni 70 - 72. E il nome Tecnostampa fu una mia idea. Sono stato sempre onorato di una grande stima e amicizia con Don Pigini, grandissimo animatore e attivista fondamentale della zona del Recanatese.
Lei ha avuto una parte importante nel teatro portorecanatese.
Non me ne faccio un vanto ma la rivista portorecanatese di Carnevale è stata iniziata proprio da me con una parodia dell'operetta "La guardiana delle oche" fatta a quel tempo dalle ragazze delle Suore del Preziosissimo Sangue, parodia che diede inizio alla lunga tradizione delle rivistissime di Carnevale. Per tanti anni ho scritto copioni e preparato riviste del Carnevale. Con l'aiuto del carissimo Dott. Romolo Cingolani, amico e parente, abbiamo fatto riviste, teatri all'interno dell'Oratorio Salesiano e ho lanciato, con grande mia soddisfazione, il compianto Fabrizio Michelini come grande comico. Ho sempre pensato che se fosse nato a Roma o Milano, avrebbe fatto fortuna come attore perchè aveva i numeri per poterlo fare.
Possiamo parlare di lei come un grande studioso del nostro dialetto?
La curiosità verso il nostro dialetto portorecanatese è stata sempre latente in me. E se devo pensare ad un momento in particolare in cui ho sentito di dover approfondire questa passione, questo amore alla tradizione orale del nostro paese, ritorno con il pensiero ad un giorno, mentre camminavo lungo il viale della marina, quando trovai due pescatori che preparavano la famosa "tenta", cioè un grosso paiolo, da ettolitri di contenuto, dove veniva messa a cuocere con l'acqua calda la corteccia di pino onde ricavare un tintura per tingere e proteggere le reti e il cordame delle barche. Mentre stavo a guardare la scena, sentii un pescatore che si rivolgeva ad un amico chiedendogli dell'acqua per riempire il paiolo dicendo esattamente così : "Damme el guasciò". Quando ho sentito dire guasciò mi sono incuriosito tantissimo: non avevo mai udito quel vocabolo e non capivo a che cosa si stesse riferendo. Con curiosità raddoppiata vidi che gli dava la calza, il tubo di gomma per l'acqua. Quel "guasciò" divenne il tarlo e la leva della mia ricerca. Ne arrivai a capo pensando che fosse la forma dialettale di "caucciù"
E' partita da lì l'idea del Vocabolario Portorecanatese dialettale?
Da lì è nata una ricerca, lunga cinquanta anni, di parole, modi di dire, imprecazioni, preghiere, tutto quello che era la nostra tradizione vocale, il nostro meraviglioso e colorito dialetto. Mi arrivò, mentre facevo questa ricerca, ed ero già ad uno studio avanzato, con già oltre le tremila parole dialettali collezionate, una lettera molto garbata del Prof. Lino Palanca, che a quell'epoca faceva il militare a Bologna. Mi scrisse "Maestro Scalabroni, ho sentito dire che lei sta facendo un lavoro di raccolta per la creazione di un nostro vocabolario dialettale. Stò per congedarmi, posso approfittare e venire da lei per collaborare alla stesura del libro?" Io apprezzai tantissimo questa proposta. E da lì è nata la stesura finale del Vocabolario Portorecanatese, uno dei pochi in Italia dedicato ad un dialetto. Era un cosa a cui tenevo molto. Così dentro casa mi sono organizzato con un mobiletto munito di tanti cassettini quante sono le lettere dell'alfabeto e lì mettevo, di volta in volta, le schede con le nuove parole che trovavo, i nuovi vocaboli che poi hanno composto il dizionario. Un lavoro molto artigianale se vogliamo ma anche raffinato. Io ero abituato ad andare in giro sempre munito di blacknotes, per scrivere anche ciò che apprendevo dai nostri cittadini, nel loro parlare quotidiano. Lo studio dell'etimologia del parlare mi ha sempre affascinato ed è, per chi si interessa di dialetti, un pò come fare l'archeologo.
Maestro, ci racconti del Centro Studi Portorecanatese.
E' stata una iniziativa vincente per creare a Porto Recanati un'istituzione, un ente che muovesse le acque nell'aspetto culturale generale. E' stato presieduto come presidente onorario, con nostro grande piacere, dal Magnifico Rettore dell'Università di Macerata, Professor Attilio Moroni che ci elesse esecutori del trasferimento della sua biblioteca e la sua pinacoteca da Recanati a Porto Recanati. Fummo noi a mettere nelle scatole tutte le opere della immensa Biblioteca Moroni così come i suoi quadri che ora onorano la Pinacoteca Comunale.
Pensa che stiamo perdendo l'uso del dialetto a Porto Recanati?
No, non lo penso. Il dialetto è dentro di noi. E' lì e rimarrà. Mai o abito per il Corso Matteotti e devo dire, con un po' di sconforto, che durante il passeggio domenicale sento parlare di più il napoleteano, il pugliese e qualche dialetto centro africano che il portorecanatese. E dentro, da portorecanatese doc, questo mi ferisce un po'. E' per dirla tutta, una volta, per il lungomare, si sentiva l'odore delle reti, delle nazze, quell'odore forte di mare che ti faceva sognare, anche d'inverno, il mare meraviglioso dell'estate. Ora purtroppo si sente sempre più l'olezzo del fritto, dei bar ristoranti, che l'odore della salsedine del mare.
Sarebbe favorevole ad inserire il dialetto tra le tematiche da approfondire nella scuola primaria?
Ai miei tempi il provveditorato lo proibiva in maniera assoluta. Ora sarebbe interessante studiare le nostre origini anche attraverso il dialetto
Ci alziamo, salutiamo il Maestro Marino ringraziandolo per il tempo che ci ha dedicato e per la chiacchierata piacevolissima. Lui ci pregia di un presente. Ci dona una copia di un numero del Magazine "LA TARTANA" del 1966. La copertina recita: "Salviamo l'arenile". E il pezzo descrive il rischio erosione della nostra costa.
Marino, lei mi ha dato una copia de "La TARTANA" con la copertina che recita "Salviamo l'arenile". Eravate dei profeti oppure è un problema che non è stato mai risolto? La rivista è del 1966....
Il problema è più vecchio di quello che i giovani possano comprendere. Ma ora è di una dimensione tale, che non intervenire o intervenire in maniera blanda o superficiale, vorrebbe dire la fine della nostra costa, la fine della nostra entità territoriale, della nostra storia di cittadina di mare.
La nostra riflessione sorge spontanea. Forse è vero quello che sostiene Marino Scalabroni. Porto Recanati nel tempo non è cambiata, almeno non così come avevamo sperato.
Il maestro Scalabroni ci ha lasciato un'eredità che non si deteriorera' con il passare del tempo. Il senso civico, la difesa di un'identità portorecanatese che passava attraverso il dialetto e la riproposizione di scene di vita quotidiana nelle Rivistissime. Una grande vitalità giornalistica portata avanti con la semplicità di chi non ha bisogno dei riflettori. Sta a noi difendere e portare avanti la sua eredità. Credo che a Porto Recanati non manchino le menti e i talenti.Condoglianze alla famiglia Scalabroni.
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