Le cronache degli ultimi anni, anche a causa della colpevole sottovalutazione della penetrazione della criminalità organizzata nel nostro terrritorio, hanno registrato di tutto e di più: accoltellamenti, sparatorie, guerre furibonde tra bande di spacciatori, regolamenti di conti, risse continue, auto incendiate per ritorsione, spaccio e traffico di droga, carabinieri brutalmente aggrediti, giovani morti per overdose e anche un omicidio
C’è chi l’ha definito come un nuovo Colosseo, sia per le dimensioni che per il fatto di ospitare anch’esso lottatori per la vita provenienti in gran parte dal Medioriente e dall’Africa (come gli antichi gladiatori). Altri, puntando sul traffico di droga che di continuo vi si svolge ed al giro di violenta delinquenza che inevitabilmente ne consegue, l’hanno paragonato alle tristemente famose Vele di Scampia, proponendone senza tanti giri di parole l’abbattimento. Altri ancora usano il termine di “melting pot”, inteso come crogiuolo, come calderone di razze, nazionalità e religioni diverse, con la lingua italiana da tutti faticosamente parlata come unico denominatore comune.
Stiamo parlando dell’Hotel House, l’enorme condominio costruito nei primi anni settanta (la posa della prima pietra, con tanto di cerimonia e con autorevoli presenze ministeriali, avvenne, in realtà, il 22 luglio 1967), che svetta imponente nelle vicinanze di Porto Recanati, ai margini della strada statale Adriatica, un monumentale casermone di cemento a forma di croce di 17 piani, alto più di 50 metri, le cui assemblee di condominio ricordano in qualche modo le sedute plenarie dell’ONU.
Il condominio consta di ben 480 appartamenti, ognuno di quasi 70 metri quadrati, dove vivono, infatti, persone appartenenti a 35 etnie diverse (!!!), circa duemila residenti (un centinaio appena gli italiani, oggi la vera minoranza), destinati a raddoppiare nei mesi estivi, allorchè arrivano a frotte gruppi di nordafricani, ospitati dai connazionali, che ogni giorno si riversano sulle spiagge della costa anconetana e maceratese: sono i “vu comprà” che offrono ai turisti i prodotti contraffatti forniti dalla camorra, quelli con i marchi di prestigio platealmente taroccati.
Estate a parte, circa un sesto dell’intera popolazione di Porto Recanati (tra italiani e stranieri, i cittadini residenti complessivamente superano di pochissimo la soglia delle dodicimila unità), sicuramente una percentuale da record a livello nazionale, vive in questo gigantesco blocco di cemento. Tra gli immigrati che abitano nell’Hotel House, prevalentemente di religione musulmana, le nazionalità più numerose sono quella senegalese, e poi, a seguire, quella bengalese, tunisina, pakistana, nigeriana, cinese, macedone, marocchina. Un enorme concentrato di extracomunitari, tanto che, di tutti quelli residenti nella provincia di Macerata, il 20% vive proprio a Porto Recanati, per la maggior parte allocati appunto nell’Hotel House (una città nella città, è stato pure detto, e sicuramente a ragione, considerato che oltre la metà dei comuni della provincia di Macerata non raggiunge la soglia dei duemila abitanti).
Una realtà in continua evoluzione (o meglio involuzione). Da vivace residence di appartamenti per vacanze estive nel periodo del boom economico, tendenzialmente autosufficiente, con piscina e negozi, a cupo luogo di passaggio, negli anni dell’abbandono, per gente di ogni genere (terremotati di Ancona, ballerine dei night della zona, camorristi latitanti, brigatisti in clandestinità, militari delle vicine caserme in odore di trasferimento), per poi divenire quello che oggi è: un megacontenitore di migliaia di persone venute da tutto il mondo nel nostro paese in cerca di una vita migliore, tenute vicine alla comunità locale, ma al tempo stesso confinate in uno spazio territoriale autonomo e non integrato dal punto di vista urbanistico (ad esempio, mancano marciapiedi e strade di sicuro e facile collegamento al centro cittadino). Una integrazione a metà, insomma: inserimento fruttuoso nelle varie attività produttive della zona, dove i lavoratori stranieri servono, eccome, ma sostanziale isolamento territoriale e urbanistico dal cuore della comunità locale (fatta eccezione per la notevolissima presenza dei circa 400 bambini nelle scuole di Porto Recanati). Come a dire: integratevi, ma senza esagerare, è bene per tutti che ognuno stia al posto suo!
C’è molta, anzi, moltissima gente perbene tra questi lavoratori stranieri, che si guadagna il pane quotidiano con il proprio sudore, che vuole vivere tranquilla e che negli anni della tranquillità economica è riuscita a realizzare un vero radicamento nel rispetto della legalità: oggi circa la metà degli appartamenti dell’Hotel House è di proprietà degli immigrati che vi abitano; alla base del casermone vi sono ben sedici esercizi commerciali, nonché una moschea e una chiesa pentecostale; e l’esigenza di sicurezza e di controlli assidui, fortemente sentita, non è solo degli abitanti della zona, ma anche della maggior parte degli stessi stranieri residenti.
Questo mostro urbanistico deve quindi la sua pessima fama solamente a una frangia di delinquenti che vivono e operano al di fuori della legge, all’interno e nei pressi del gigantesco condominio multietnico. Una frangia minoritaria, ma organizzata in gruppi criminali violenti e senza scrupoli, che delinque fortemente, senza mezzi termini. Le cronache degli ultimi anni, anche a causa della colpevole sottovalutazione della penetrazione della criminalità organizzata nel nostro terrritorio, hanno registrato di tutto e di più: accoltellamenti, sparatorie, guerre furibonde tra bande di spacciatori, regolamenti di conti, risse continue, auto incendiate per ritorsione, spaccio e traffico di droga a cielo aperto, carabinieri brutalmente aggrediti durante le perquisizioni, giovani morti per overdose nel piazzale antistante, un clandestino di 26 anni ucciso a coltellate nello stesso piazzale pochi mesi fa nell’ambito di scontri all’ultimo sangue fra pusher. Un'escalation che sembrava inarrestabile, tanto da far assurgere l’Hotel House, considerato un terminal dei clan camorristici, a problema di ordine pubblico di rilevanza nazionale, come se fosse una bomba atomica ormai prossima a esplodere.
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